“Solo il vero sapere ha potenza sul dolore”
Eschilo
In uno studio di “mappatura delle emozioni nel corpo” un gruppo di scienziati Finlandesi ha chiesto a 700 volontari di indicare dove sentivano nel loro corpo certe specifiche emozioni. Hanno quindi messo a disposizione di ogni persona due silhouettes bianche chiedendo di disegnare su una di esse le parti del corpo che sentivano stimolate e sull’altra quelle che sentivano disattivate quando pensavano e cercavano di sentire ciascuna delle 14 emozioni che venivano loro presentate.
Non tutti hanno rappresentato la stessa emozione nello stesso modo. Ma quando i ricercatori hanno messo a confronto le mappe e costruito una media ne sono usciti dei modelli di rappresentazione che fanno vedere come mediamente le persone percepiscono nel corpo certe emozioni più o meno complesse.
La parola emozione contiene il concetto di azione: provare qualcosa è già, in un certo senso, cominciare ad agire quella cosa: iniziare a sentire fisicamente come il corpo agirebbe se mettesse in atto o rappresentasse quel determinato stato d’animo.
Se osservate l’immagine e vi immedesimate per un attimo in ciascuna figura potete “sperimentare diversi tipi di corpo”. Potremmo dire che c’è un corpo di panico/paura, un corpo di collera o di gioia o di depressione… sono diversi livelli di attiva- zione/disattivazione e diverse forme dinamiche mentali.
Dice Daniel Stern: “Le forme dinamiche mentali comprendono non solo atti corporei, bensì anche movimenti mentali. Ma che cosa intendiamo per movimento mentale? Mentre pensiamo a qualcosa o proviamo una certa emozione o sensazione, l’esperienza mentale non è ferma. Dal punto di vista soggettivo, un pensiero può irrompere sulla scena mentale ed espandersi, o può affiorare silenziosamente o altrettanto silenziosamente svanire”.
I pensieri, insomma, risuonano nel corpo e l’amalgama fra i pensieri, le emozioni e la forza vitale che dà loro energia e volume è percepito internamente come una Gestalt un’unica immagine/forma/condizione che, in un dato momento, è come siamo e “come ci dipingiamo” lì, mentre viviamo quell’attimo soggettivo più o meno lungo.
Stare nella metafora dei “diversi corpi” è un modo per metter l’accento sulla percezione soggettiva di cosa sentiamo e come diventiamo quando consideriamo- iniziamo a provare- siamo preda di- attiviamo- una certa emozione o pensiero o sensazione.
Dal punto di vista terapeutico è anche un modo per aiutare un paziente ad esercitare un controllo migliore su ciò che sente. Esistono sempre più evidenze del fatto che cambiando il linguaggio del proprio corpo si può cambiare anche la mente ed è evidente che, quando, ad esempio, un depresso attiva/sente parti del corpo che che prima ignorava, anche la sua percezione del proprio stato d’animo comincia a cambiare.
Un’emozione osservata e descritta, guardata nel momento in cui compare e contenuta (presa per quello che è e, in un certo senso, studiata), smette di essere la stessa emozione: solo per il fatto che è osservata e non combattuta, trattenuta o cacciata via, comincia a cambiare diventando un oggetto mentale con cui possiamo relazionarci invece di una stato che semplicemente ci trasporta.
Non c’è niente di male, infatti, nell’essere trasportati: gli slanci umani, i moti dello spirito e le stesse “reazioni emotive” sono parte integrante del comportamento e della vita psichica e relazionale di ognuno di noi.
Ma un conto è accettare il trasporto emotivo sapendo cosa stiamo provando, un altro è subire un sequestro emotivo: cadere preda di una reazione primitiva che poteva andar bene in un mondo in cui la collera serviva per attaccare, la paura per fuggire o nascondersi, la tristezza per isolarsi.
Oggi, in un ambiente più complesso, il sequestro emotivo diventa un’arma spuntata: una reazione spontanea e non adatta che, a volte, crea effetti che non vorremmo e spesso si installa nel corpo come uno stato soggettivo confuso, un sintomo frutto della carenza di osservazione e di consapevolezza.
Il corpo descrive già ciò che proviamo strutturandosi in un certo modo e “sentendo e agendo ciò che sente”, l’osservazione e la consapevolezza possono diventare una seconda descrizione che dà profondità e senso alla prima. Entrambe le descrizioni da sole sarebbero monche. Insieme contribuiscono alla percezione unitaria di ciò che consideriamo realtà.