“Ieri mi sono comportata male nel cosmo.
Ho passato tutto il giorno senza fare domande,
senza stupirmi di niente”
Wislawa Szymborska
Assisto ogni giorno allo “stiracchiamento della realtà” in mappe preesistenti e all’ostinata applicazione di vecchi modi di leggere che, applicati ad un mondo che se ne stesse fermo, funzionerebbero, ma in un sistema continuamente perturbato falliscono, come previsioni del futuro fatte leggendo i fondi del caffè o intuizioni sul mercato dei titoli fatte con la mente di un broker cocainomane.
Assisto a tutto questo senza esserne esente : faccio lo Psicoterapeuta e non guardo alla realtà partendo da uno sguardo superiore che, da una torre d’avorio, la osserva con fredda lucidità.
Sono immerso con i miei pazienti nelle loro visioni del mondo e l’unico “vantaggio” è quello di poter guardare con un po’ di distanza, sapendo che ciò che diremo sarà necessariamente soggettivo, di parte, autoreferente.
Ogni volta che tengo presente questa relatività, questo sguardo sempre mutevole e interventista (sempre, intanto che raccontiamo, cambiamo, strada facendo, il racconto; adattandolo all’interlocutore e alla nostra stessa osservazione del momento)… ogni volta che mi ricordo della complessità faccio un piccolo passo verso descrizioni che vale la pena condividere: quando, insieme ad un paziente, ci rendiamo conto che quella che stiamo “attuando” non è che una delle descrizioni possibili e che potremmo convincerci anche d’altro e, facendolo, cambieremmo qualcosa anche in noi che stiamo descrivendo. Ogni volta che riesco a farlo promuovo un po’ di flessibilità e metto l’accento sulla lettura invece che sul libro, sull’interpretazione e sulla rappresentazione invece che sulla “verità” .
Questo modo di sostare sulla soglia di una descrizione lavora come un antidoto contro quel Riduzionismo che occupa buona parte della nostra mente e che cerca soluzioni semplici: spiegazioni di : “perché mi sento così? perché mi vengono gli attacchi di panico? perché non trovo l’uomo/donna della mia vita?” ecc.
Come ho già accennato in altri post e come dice esemplarmente il Fisico Ignazio Licata, il Riduzionismo: “… si è rivelato estremamente utile e gli dobbiamo quei tre secoli di successi da cui deriva il cosiddetto ‘primato’ della fisica. Oggi siamo in vista di una teoria unificata in grado di descrivere forze, particelle e la loro evoluzione nello scenario cosmologico. Impossibile dunque essere ingrati nei confronti del riduzionismo. Nondimeno i dibattiti in voga sulle terze pagine del tipo ‘o riduzionismo o nessuna scienza’ sono semplicemente mal posti. Il problema non è condannare o difendere il riduzionismo, ma considerare dove è applicabile con successo. Nella terra di mezzo dove abbiamo a che fare con processi cognitivi, biologici e socioeconomici, i modelli riduzionistici, semplicemente non funzionano o funzionano male.”
La terra di mezzo è quel luogo in cui non basta allineare le cause: non basta mettere insieme i “motivi per cui” per giungere ad una spiegazione che rischiari la mente. Ci sono sistemi non-lineari in cui l’effetto complessivo non è semplicemente dato dalla somma delle cause e capita spesso in psicoterapia di arrivare alla “soluzione di un sintomo” non perché si sono trovati i motivi che l’hanno generato ma perché il paziente si è accorto, ad esempio, del fatto che cercando di liberarsene e di curarlo non faceva nient’altro che costruirlo per vedere se c’era ancora. La mente, il cervello e “il mercato” sono pieni di profezie che si auto-avverano e di effetti che si ripercuotono sulle cause che li hanno generati.
Nella terra di mezzo occorre tener conto di una quantità di gesti interni che modificano i processi in corso: mentre stiamo leggendo un libro stiamo anche in qualche modo “scrivendolo”: stiamo aggiungendo immagini, ricordi, sensazioni e stati d’animo che non sono quelli dell’autore ma vengono, via via, aggiunti dal nostro flusso di coscienza che, a sua volta, in quanto risultato di memorie, eventi, racconti e descrizioni, non è così “nostro”.
“Noi non registriamo passivamente il mondo, ma lo costruiamo attivamente, facendo delle scelte su cosa osservare, sull’interpretazione dei dati, e lo facciamo cambiando continuamente il gioco delle prospettive concettuali in virtù del bagaglio stratificato di esperienze e dei nostri obiettivi relativi a ciò che ci interessa vedere/descrivere.” (I. Licata).
Tenere a mente la complessità non significa rifiutare spiegazioni semplici né relativizzare tutto ma, piuttosto, non dimenticarsi di questo continuo processo di costruzione del mondo e della mente che lo sta leggendo e descrivendo.
Credo anche che sia un buon modo per allenarci a sospendere le risposte e per esercitare la capacità di stupirci e di interrogarci.