“Come un arciere con la sua freccia,
l’uomo saggio raddrizza la sua mente tremante,
arma fragile e instabile”
Dhammapada
Terminavo il primo dei due brevi saggi sulla Coazione a Ripetere che appaiono in questo blog con l’esortazione a fermarci a riflettere e contemplare ciò che stiamo rifiutando.
E’ un modo per aumentare la consapevolezza e per renderci conto di quanto la mente continui imperterrita nel tentativo di risolvere un problema senza, spesso, aver nemmeno ben capito cosa vuole risolvere. Diceva bene E. Dickinson quando, in una sua poesia affermava: “Il cuore non dimentica / finché non contempla / ciò che rifiuta”.
Di cosa vorremmo liberarci quando, compulsivamente, ripetiamo un comportamento o ci invischiamo in una serie di pensieri che “sono sempre gli stessi” e sembrano girare intorno ad un nucleo che non solo non si risolve ma lievita e si espande ogni volta che lo investiamo con il nostro interesse? Perché sembra che l’indulgere in azioni o pensieri che ci fanno male sia inevitabile o addirittura attraente?
Non è facile spezzare il cerchio magico della Coazione a Ripetere perché anche il riflettere e il contemplare, che dovrebbero servirci a “rendere conscio l’inconscio” (Freud), rischiano di venire inesorabilmente attirati nel campo di gravità del problema su cui si applicano. I nostri strumenti corrono il pericolo di essere asserviti dalle forze che vorrebbero modificare. Dobbiamo quindi stare attenti a non cadere, con il nostro metodo, nella trappola di comportamenti che non producono altro che il bisogno che tentano di soddisfare.
Insomma (e in altre parole): è difficile risolvere un problema usando lo stesso tipo di ragionamento che l’ha creato ed è necessario quindi un salto o un cambio di paradigma, qualcosa che ci aiuti a riflettere più profondamente e a scorgere qualcos’altro oltre a ciò che abbiamo visto finora.
Ho già parlato di quanto sia facile individuare la Coazione a Ripetere quando si osserva il comportamento di un tossicodipendente, di una persona con disturbi alimentari o di un giocatore d’azzardo. Sono casi in cui si vede chiaramente l’indulgere di un soggetto in un comportamento che, man mano che viene agito, surclassa tutti gli altri.
Come dice eloquentemente il protagonista di Trainspotting:
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Una volta che la Coazione a Ripetere sia ben fissata non c’è più bisogno di ragioni: qualcosa ha sostituito la vita e il gesto stesso di guardare i treni passare (trainspotting) è una metafora che esemplifica l’uscita dal vivere e il soffermarsi ai margini.
Nelle dipendenze questo meccanismo è evidente per tutti coloro che guardano il comportamento dal di fuori, e estremamente difficile da scorgere per chi vi è immerso.
E se c’è qualcosa che acceca l’eroinomane o il bulimico perché non dovrebbe esserci qualcosa che offusca la vista anche di chi non è così apertamente dedito ad un singolo, dilagante e distruttivo “stile di vita”?
La domanda è ovviamente retorica: non credo ci siano esseri umani immuni dalla Coazione a Ripetere. Credo anche che più una persona è brava a raccontarsela più “il suo analista”, colui che lo aiuta a guardarsi dentro, dovrà osservare acutamente per scorgere gli indicatori dell’indulgere.
E’ facile non colludere con una persona che sta evidentemente compiendo gesti autodistruttivi ma è molto più complesso ascoltare senza assecondare chi sa ben motivare le proprie scelte, chi è pieno di ragioni per cui è bene essere ciò che si è abituati ad essere.
Sto dicendo, in altri termini, che per ognuno di noi è facile colludere con noi stessi e continuare ad indulgere in quei gesti che ci tengono un po’ staccati dalla vita e “moderatamente morti”.
Per chi vuole analizzare persone di questo tipo e per chi vuole farsi un po’ di autoanalisi su questo argomento, c’è una buona cartina di tornasole: un buon modo per farsi un agguato e cogliersi nel bel mezzo di una Coazione a Ripetere. Bisogna osservare il desiderio e la sua direzione.
Nella Coazione a Ripetere il desiderio è tra le braccia di Thanatos. Punta cioè ad un puro conservatorismo: un equilibrio che corrisponde ad una zona di comfort in cui le cose non cambiano e lo scopo principale è una sorta di sazietà o una assenza di stimoli perturbanti. Un’anestesia in cui il dolore viene ridotto al minimo e il desiderio invece di muoversi verso l’esterno e dirigersi verso l’altro, mira ad uno stato di quiete e di mineralizzazione.
Più ci allontaniamo dalla Coazione a Ripetere più il desiderio torna sotto l’egida di Eros: l’Altro riappare e torniamo ad essere interessati a lui; la sua vita ci coinvolge ed è un piacere averne cura; abbiamo voglia di condividere.
Lo stesso vale per i pensieri: quando nel nostro dialogo interno ricorrono troppo spesso l’Io e il Me, i miei oggetti, ciò che Io penso, ecc… in quei momenti la nostra mente è così impegnata nel mantenimento dell’identità che troverà un modo per girare in tondo e riaffermare sempre la stessa persona, le stesse abitudini, gli stessi ricordi.
Quando Bion consigliava ai terapeuti di stare il più possibile in una condizione senza memoria e senza desiderio, invitava implicitamente ciascuno di noi ad alleggerire la propria identità.
Si tratta di non indulgere troppo a lungo sulla via di Thanatos, di imparare ad essere un po’ più incuranti nei propri confronti e più attenti al mondo; meno saturi di sé e più insaturi per poter accogliere ciò che si presenta, momento per momento.
Come dice Mark Epstein: “Disciplina significa tenere a freno il movimento ripetitivo del pensiero, in modo che invece dell’impulso cieco possa esserci una chiara comprensione”.